La diagnosi non invasiva del rigetto e della tossicità da farmaci nel trapianto renale: i biomarkers del futuro
Il trapianto di rene è la scelta più vantaggiosa per i pazienti con insufficienza renale terminale, in quanto sostituisce completamente ed in maniera continua tutte le funzioni del rene, non solo quella depurativa come le dialisi. Ciò si traduce in una migliore prospettiva in termini di aspettativa e qualità di vita, oltre che di riabilitazione per attività sociali e lavorative.
Nonostante i notevoli miglioramenti del trapianto renale nel breve e medio termine (la sopravvivenza a 5 anni del trapianto supera il 90%), i risultati a lungo termine non sono ancora pienamente soddisfacenti e il trapianto non può essere considerato come una soluzione definitiva per i pazienti in dialisi. L’immunosoppressione è ancora l’unica strategia per controllare il rigetto, conseguente all’attivazione immunitaria del ricevente contro l’organo “estraneo”. Tuttavia la necessità di impiegare tale terapia in cronico può comportare gravi complicanze, aumentando il rischio di tumori, infezioni o nefrotossicità (ovvero la tossicità legata ad alti dosaggi del farmaco anti-rigetto sul rene stesso).
Al momento, il “gold standard” per la diagnosi di rigetto e nefrotossicità da farmaci è la biopsia renale, una procedura che tuttavia è invasiva e non priva di rischi per l’organo trapiantato. Per questi motivi, negli ultimi anni la comunità scientifica si è molto dedicata alla ricerca su nuovi approcci non invasivi per la diagnosi precoce delle varie forme di rigetto (acuto, subclinico, cronico) e della nefrotossicità, focalizzando l’attenzione su biomarcatori “surrogati” in sostituzione della biopsia renale, tra le molecole prodotte dai leucociti circolanti e dalle cellule di sedimento urinario. La possibilità di individuare tempestivamente una complicanza che potrebbe portate alla perdita dell’organo rappresenta quindi una sfida aperta di enorme importanza, per la possibilità di anticipare e personalizzare sul singolo paziente gli interventi terapeutici, migliorando quindi i tassi di sopravvivenza del trapianto e ritardando il ritorno alla dialisi, con ricadute positive sia per il paziente stesso sia per i costi a carico il Servizio Sanitario Nazionale.
Presso il nostro Centro Trapianti di Bologna è stato messo a punto un modello animale di maiale per lo studio dell’utilità diagnostica di alcuni marcatori molecolari “surrogati” nelle urine e nel sangue, facendo un confronto come riferimento all’istologia delle biopsie del rene trapiantato. Il protocollo si proponeva di valutare la corrispondenza tra diverse condizioni (tolleranza, nefrotossicità, rigetto) indotte con dosi scalari del farmaco immunosoppressore Tacrolimus (dosaggio basso, normale e alto) con le variazioni nei livelli di alcuni biomarkers “candidati”. In particolare, sono stati prese in esame molecole solubili nel sangue e nelle urine, prodotte da cellule del sistema immunitario attivate e gli esosomi urinari, vescicole di origine cellulare alla base dei meccanismi di comunicazione tra le cellule e nella risposta immunitaria. Alcuni esperimenti
precedenti su animali avevano evidenziato un ruolo degli esosomi nell’induzione della tolleranza attraverso la riduzione della produzione di citochine infiammatorie e nella proliferazione di linfociti T ad attività regolatoria. Una componente fondamentale nella modulazione del sistema immunitario da parte degli esosomi è il loro contenuto, caratterizzato dalla presenza di RNA messaggero (mRNA) e di microRNA (miRNA) relativo a geni specifici che possono essere coinvolti nella risposta immunitaria.
Il nostro studio ha dimostrato come l’uso del Tacrolimus sia efficace, una volta raggiunto l’obiettivo terapeutico e indipendentemente dalla via di somministrazione (sia per via orale che per via endovenosa), per raggiungere una valida immunosoppressione. Questi dati di sicurezza sono stati resi possibili grazie al ricorso al modello animale, che ha consentito la raccolta seriale di campioni bioptici, di sangue e di urine, con una tempistica ravvicinata non eseguibile nell’uomo.
L’analisi del contenuto delle vescicole esosomiali ha documentato la presenza di alcune molecole infiammatorie (citochine, chemochine), talvolta in basse quantità, suggerendo un loro ruolo nella comunicazione cellulare-cellula durante i processi infiammatori che si realizzano in corso di nefrotossicità da farmaci come il Tacrolimus.
Questi risultati forniscono un sostanzioso contribuito alla comprensione della caratterizzazione degli esosomi provenienti da urine di diversi modelli patologici nei pazienti sottoposti a trapianto renale, e aprono la strada a nuove possibilità diagnostiche alternative alla biopsia renale.
Gaetano La Manna, Direttore U.O. di nefrologia, dialisi e trapianto del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.