Sinergia fra infermieri, psicologo e pazienti
Il 29 Settembre scorso, presso la sede del Collegio Ipasvi della Provincia di Bologna, si è tenuta una interessante giornata formativa sui problemi psicologici del paziente con insufficienza renale cronica. Un importante appuntamento poiché aveva la funzione, oltre che formativa, di mettere insieme sinergicamente gli infermieri, lo psicologo ed i pazienti, per discutere di un tema le cui implicazioni nell’assistenza sono estremamente delicate.
A seguito di questa giornata, mi è stato chiesto un contributo per questa Rivista affinché la riflessione si potesse estendere pubblicamente a tutti i pazienti ed ai professionisti. Ho molto riflettuto sull’impostazione che questo articolo dovesse avere. Sicuramente avrei dovuto evidenziare l’importanza delle implicazioni psicologiche, emotive ed affettive del paziente che, per motivi diversi, si trova a dover fronteggiare la perdita o l’alterazione di uno dei più intimi e fondamentali bisogni dell’uomo: quello di urinare.
Una dimensione, quella psicologica, che si sviluppa e si intrec- cia con i propri valori, con la propria visione della vita, con il proprio ruolo nel mondo, nella società ed all’interno del proprio ambiente familiare ed affettivo. Una dimensione che, di fatto, di fronte alle avversità legate alla malattia, non sempre risponde con l’equilibrio necessario.
Argomenti di sicuro valore, di fronte ai quali ognuno di noi non può che condividerne lo spirito profondo. Però, pensandoci bene, anche se in parte l’ho già fatto, non voglio analizzare questo tema. Ma non per scarso interesse. Unicamente perché vi sono altre due questioni poco trattate e che, diversamente da quanto accade all’interno del dibattito sulla questione, meritano una riflessione ed una condivisione con i Lettori di questa Rivista: 1) l’organizzazione sanitaria non investe a sufficienza nel supporto psicologico al paziente; 2) non consideriamo a sufficienza le ricadute e le implicazioni psicologiche a carico del personale quotidianamente impe- gnato nella cura e nell’assistenza ai pazienti.
Prendiamo in esame il primo punto: gli investimenti e le risorse impiegate a supporto delle problematiche psicologiche dei pazienti. E non mi riferisco a questa o a quell’altra azienda sanitaria. Mi limito a guardare il fenomeno in chiave generale.
Se il tema lo trattiamo sotto il profilo “accademico”, prendendo a riferimento i tanti articoli, seminari, istogrammi sul peso e sul valore del supporto psicologico ai pazienti, non si hanno dubbi: “la spesa per interventi psicologici è un investimento per il benessere del paziente, per la famiglia, per la società e un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale” citando una affermazione degli stessi psicologici della nostra Regione.
Ma se usciamo dal contesto accademico e andiamo a misurare la stessa questione sotto il profilo del reale impiego di risorse (umane, materiali, organizzative) per far si che una questione cruciale per il paziente si inserisca a pieno titolo nel trattamento sanitario offerto, ecco che gli zeri e le virgole ci riportano tutti con i piedi per terra.
Oggi, la reale presa in carico psicologica del paziente viene effettuata unicamente dai singoli psicologi impegnati in un’im- presa da titani, alle prese – a volte – con una continua rivendi- cazione del proprio ruolo e della propria professionalità, dalle tante persone che ci mettono l’impegno organizzativo affinché le poche risorse possano essere impiegate al meglio, ovvia- mente dai medici e, per ultimo, dai tanti infermieri impegna- ti nella quotidiana sfida di capire il malato, di sostenerne gli sforzi e le preoccupazioni che inevitabilmente la malattia fa riaffiorare.
Capisco, a questo punto, che la questione della scarsità delle risorse crea un vortice senza fine: meno stanziamenti a livello nazionale, meno risorse a livello locale. Qualcuno potrebbe obiettare il fatto che bisogna pur sempre trovare delle risorse per sviluppare la rete ed il supporto psicologico. Non voglio aprire una questione economica. Penso che bisognerebbe agi- re anche su aspetti qualitativi ed organizzativi utilizzando al meglio le risorse presenti e soprattutto sfruttando a pieno le competenze relazionali ed educative del personale sanitario, supportandole, in chiave di equipe multiprofessionale e di sostegno formativo.
Passo al secondo punto citato in precedenza, ovvero le ricadute e le implicazioni psicologiche a carico dei medici e degli infermieri impegnati nella cura e nell’assistenza al paziente con insufficienza renale.
Mi scuso fin da subito se sposto la discussione dal malato alpersonale sanitario. Ma la reputo altrettanto importante proprio perché questo aspetto incide notevolmente sulla qualità delle cure erogate. L’assistenza al paziente con malattia renale, con particolare riferimento alla persona dializzata, richiede una presa in carico unica nel panorama dei contesti di cura.
Le problematiche cliniche, legate ad una dimensione cronica della malattia, i lunghi periodi di ospedalizzazione, l’inevitabile coinvolgimento della sfera familiare, sono soltanto alcuni elementi che caratterizzano questa presa in carico.
L’infermiere per assistere il paziente, unisce alla competenza tecnica una competenza relazionale che risulta fondamentale per realizzare una reale e completa relazione di aiuto. Questo coinvolgimento relazionale, in molti casi anche emotivo, implica per il medico e soprattutto per l’infermiere delle inevitabili ricadute psicologiche che incidono inesorabilmente sulla qualità dell’assistenza.
Quindi, a questo punto, la domanda che mi pongo è la seguente: chi si prende cura della persona/professionista che cura? Sicuramente qualcosa si sta già facendo – e si è fatto – in termini di supporto individuale e di aggiornamento, ma ritengo che in una organizzazione di cura così complessa la figura dello psicologo deve necessariamente essere interpretata in modo bidirezionale, non solo il paziente ne ha bisogno ma anche coloro che assistono.
Allora a questo punto immagino un’organizzazione dove la circolarità delle informazioni in equipe e il supporto possa essere pensato e pianificato, così come ben rappresentato in alcune realtà del nostro territorio, laddove si integrano le cure cliniche a quelle di supporto psicologico e al contempo si prendono in carico le problematiche psicologiche ed emotive del personale sanitario.
I modi potrebbero essere tanti, anche attraverso un incontro mensile tra lo psicologo e l’equipe assistenziale. Concludendo la mia riflessione, sono consapevole che alcuni di voi penseranno quanto le mie idee possano essere provocato- rie o utopistiche. Ma io ci credo, così come credo che il tempo ci darà ragione.
Ps: Ringrazio la dr.ssa Cangini, psicologo clinico, poiché ci “sopporta” e ci supporta quotidianamente.
Dott. Pietro Giurdanella
Coordinatore infermieristico dialisi S.Orsola Azienda Ospedaliera S.Orsola-Malpighi Bologna